In un laboratorio vuoto, nel campus dell’Università del Colorado a Boulder, un musicista e uno scienziato si trovano a oltre tre metri di distanza, in due stanze separate. Una porta aperta li separa. Il musicista si accovaccia accanto a un piccolo specchio rotondo, il lato della sua bocca non protetto da alcuna mascherina si palesa nel riflesso.
“Procedi con l’alfabeto“, questo la richiesta di Abhishek Kumar, uno studente laureato in ingegneria meccanica, mentre regola la messa a fuoco di una videocamera digitale che punta poi verso lo specchio.
“A, B, C, D, E …,” recita il musicista.
Kumar chiede quindi al musicista di sistemarsi su uno sgabello, posizionando la campana del clarinetto, la parte svasata all’estremità dello strumento da cui esce il suono, davanti allo specchio.
“Ora faremo la scala cromatica“. Il musicista risponde alle istruzione di Kumar suonando ogni nota lentamente e intervallandola con una pausa.
Dopo, avvolgono un sottile strato di nylon, simile a un collant, attorno alla campana e ripetono la scala davanti allo specchio.
Sebbene questi metodi possano sembrare insoliti, lo scienziato e il musicista fanno parte di un gruppo che conduce ricerche scientifiche innovative.
Le domande a cui stanno cercando di rispondere sono le seguenti: gli strumenti a fiato creano aerosol, queste minuscole goccioline di liquido possono trasportare il nuovo coronavirus? Da quale parte dello strumento fuoriesce l’aerosol? E cosa si può fare per rendere più sicuri gli spazi dedicati alla pratica musicale, soprattutto in caso di pandemia?
Il team di ricerca, guidato dalla professoressa di ingegneria meccanica Shelly Miller, sta cercando di scoprire come far suonare insieme, in totale sicurezza, gli ensemble musicali di tutto il mondo, nonostante la pandemia.
“Gli ingegneri aiutano a risolvere i problemi e noi vogliamo davvero aiutare a risolvere questo problema“, queste le rassicuranti parole della Miller.
Dopo che un rapporto dei Centers for Disease Control and Prevention ha collegato un focolaio di COVID-19 nello stato di Washington a una prova del coro, Miller ha voluto e trovato conferma a quanto affermato. E’ vero cioè che il canto potrebbe diffondere il virus attraverso gli aerosol. Sebbene non siano stati registrati focolai di COVID-19 collegati agli ensemble strumentali, gli scienziati come Miller sospettano che suonare insieme possa, anche se solo potenzialmente, diffondere il virus.
Tuttavia, non esistono ricerche in merito ovvero se suonare uno strumento a fiato possa o meno generare aerosol.
Così Miller e il suo team sono stati incaricati di scoprirlo.
“Vogliamo scoprire se gli strumenti a fiato sono pericolosi e cosa possiamo fare per renderli più sicuri. Dobbiamo salvare la musica“. La Miller non indietreggia.
Tehya Stockman, una studentessa laureata in ingegneria meccanica, è stata coinvolta in questa ricerca. Tehya esegue i test e fornisce la prospettiva di una musicista, essendo una clarinettista.
“La speranza è che gli studenti, gli insegnanti, le istituzioni scolastiche e i genitori possano utilizzare queste informazioni per calcolare l’eventuale rischio“, queste le parole della Stockman.
MASCHERINE ANCHE AGLI STRUMENTI MUSICALI?
La prima fase dello studio ha confermato che gli strumenti a fiato possono effettivamente generare gli aerosol.
Secondo i ricercatori gli aerosol vengono generati da “una superficie bagnata e vibrante” quale può essere la gola o la lingua. Quando qualcuno suona uno strumento, l’ancia e le labbra svolgono un ruolo negativo in tal senso.
La quantità di aerosol prodotta sembra dipendere anche dal tipo di strumento.
“Riteniamo che maggiore è la pressione d’aria richiesta per suonare uno strumento, maggiore sarà la probabilità di produrre l’aerosol“, afferma la Miller. Un oboe, ad esempio, richiede una pressione d’aria maggiore per essere suonato rispetto a un flauto.
Anche la forma dello strumento influenza la produzione di aerosol. Il team di scienziati quindi sta testando non solo l’oboe, il clarinetto e il flauto, ma anche la tromba, la tuba, il corno baritono e il trombone. Persino i cantanti e gli artisti che lavorano a teatro sono stati invitati a far parte della ricerca.
Gli scienziati stanno tentando di scoprire come ridurre le emissioni di aerosol in modo tale così da permettere agli ensemble musicali di esercitarsi e alle orchestre scolastiche di portare a termine il programma. Occorrono strategie atte a ridurre il rischio di possibili infezioni causate dagli aerosol.
Jean Hertzberg, professore associato di ingegneria meccanica, si esprime sull’argomento: “Ci sono svariati studi sulle proprietà acustiche di uno strumento musicale, ma pochi sull’aerodinamica. Una soluzione potrebbe essere quella di apporre una mascherina anche sullo strumento“.
Sebbene si tratti solo di risultati preliminari, Miller consiglia ai musicisti di indossare una mascherina anche mentre suonano. Deve essere provvista di una piccola fessura per la bocca e il bocchino dello strumento ma il naso deve rimanere coperto. Inoltre è opportuno, sempre secondo la scienziata, utilizzare una copertura per la campana. Deve essere ben aderente, con più strati di materiale a trama fitta, ed è consigliabile distanziarsi durante le prove, suonare in un luogo ben ventilato e limitare la quantità di tempo da trascorrere insieme in un ambiente chiuso.
LA SCIENZA IN AIUTO DELLA MUSICA
Il metodo usato da Kumar e dal clarinettista nel laboratorio è quello dello Schlieren. Serve per visualizzare come e dove l’aria si muove dopo aver lasciato lo strumento. Lo specchio e l’obiettivo della fotocamera catturano i cambiamenti di temperatura e di densità nell’aria, rivelando attraverso una registrazione video ciò che l’occhio umano non è in grado di vedere. E non solo. E’ stata adoperata infatti anche un’altra metodica che necessita di una camera oscura, di nebbia e di un laser. In pratica i musicisti inspirano ed espirano la nebbia la quale fuoriesce dallo strumento più scura rispetto all’aria circostante. E vengono utilizzati i laser per poterla visualizzare.
Una volta capito dove e come l’aerosol esce da uno strumento, si procede a valutarne la quantità. Questo lavoro coinvolge la ricercatrice, laureata in ingegneria ambientale, Tehya; Marina Vance, ricercatrice presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e il Programma di Ingegneria Ambientale; e Darin Toohey, professore di scienze atmosferiche e oceaniche.
“Eseguire una ricerca su una pandemia proprio durante una pandemia non è affatto facile“, Vance sottolinea l’attenzione posta dai ricercatori nel limitare il tempo trascorso insieme, al chiuso, durante la sperimentazione.
Il team sta anche collaborando con i ricercatori dell’Università del Maryland per valutare il rilascio di aerosol negli spazi interni utilizzando la dinamica dei fluidi computazionali.
Già questo autunno, gli studenti della band hanno inoltre iniziato a prendere a cuore le raccomandazioni dei ricercatori applicando queste pratiche anche a performance reali.
LE PAROLE DI DON McKINNEY, DIRETTORE D’ORCHESTRA
“Questa ricerca è entusiasmante perché ci fornisce una scappatoia, un’opportunità per tornare a lavorare. Una volta superato il COVID, si può partire con il piede giusto. Molti dei nostri studenti vogliono davvero tornare a fare musica. Vogliono tornare in sala prove. Fa parte del loro essere. Fa parte della loro identità“.
Finalmente gli studenti possono tornare a suonare. McKinney ha preso in considerazione le raccomandazioni precauzionali della Miller. I musicisti saranno tutti a una distanza di circa tre metri l’uno dall’altro, non vi saranno più di 18 persone in una stanza, e verranno adoperate mascherine con fessure per la bocca e le prove di 30 minuti saranno intervallate da pause di 15 minuti.
“Le prime settimane del semestre sono state spese per adattarci a questa nuova normalità. Ma gli studenti sono d’accordo con queste restrizioni. E’ importante avere una mente aperta ed essere molto flessibili. Ci adatteremo durante il semestre”.