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In che modo l’improvvisazione jazz influenza il cervello

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    Louis Armstrong una volta disse: “Non bisogna mai suonare due volte nella stessa identica maniera.” Sebbene l‘improvvisazione – comporre su due piedi la performance musicale – non sia a esclusivo appannaggio del jazz, è sicuramente l’elemento che più lo caratterizza. L’improvvisazione di assoli jazz, per quanto possa apparire spontanea, nasconde regole ben precise. Questo è quanto affermato da Martin Norgaard, professore associato di educazione musicale.

    Nel jazz tonale, l’improvvisazione non è libera ma è legata alla struttura degli accordi su cui si basa la melodia.

    In altre parole, l’improvvisazione è una forma di espressione creativa incredibilmente complessa. I grandi musicisti jazz come Charlie Parker, Miles Davis o John Coltrane la fanno però apparire facile tanto da lasciare stupiti e increduli. Cosa sta succedendo intanto nel cervello dei jazzisti mentre compongono e suonano contemporaneamente?

    charlie parker uno dei jazzisti più famosi al mondo

    Da musicista, ti rendi conto che c’è qualcosa di diverso nel modo in cui il tuo cervello lavora quando improvvisi“, questa la dichiarazione di Norgaard, violinista approdato negli Stati Uniti, nel lontano 1985, per studiare jazz. “Utilizzi tutte le tue conoscenze musicali e le adatti a una progressione armonica, il tutto in tempo reale.”

    Durante il dottorato di ricerca, presso l’Università del Texas, ad Austin, Norgaard ha iniziato a studiare gli effetti dell’improvvisazione: ha intervistato artisti e studenti jazz in merito ai loro pensieri durante il processo di improvvisazione, ha analizzato gli assoli di Charlie Parker alla ricerca di schemi e ha chiesto ai musicisti di eseguire un compito secondario mentre erano impegnati nell’improvvisazione per scoprire come questa richiesta potesse influenzare le loro esibizioni.

    La scorsa primavera, Norgaard ha anche collaborato con Mukesh Dhamala, professore associato di fisica e astronomia, e ha chiesto a esperti musicisti jazz di cantare una musica improvvisata e appresa in precedenza mentre si sottoponevano a risonanza magnetica funzionale, un test che misura l’attività del cervello.

    università austin del texas

    Nello studio, pubblicato su Brain Connectivity, i ricercatori hanno evidenziato una ridotta connettività cerebrale durante l’improvvisazione. Per Norgaard la scoperta non è poi così sorprendente.

    La spiegazione è da far risalire all’idea di “flusso “, uno stato di coscienza in cui la persona è completamente immersa in un’attività. Ciò comporta la disattivazione di alcune aree del cervello. Può darsi che improvvisare coinvolga una rete cerebrale più piccola e più focalizzata, mentre altre parti del cervello si zittiscono.

    Nel suo studio più recente, pubblicato nel mese di agosto sul Journal of Research in Music Education, Norgaard ha esaminato l’effetto “far transfer” dell’improvvisazione: come cioè l’apprendimento nell’inventare la musica su due piedi influenzi anche le altre capacità cognitive.

    martin norgaard, violinista jazz e ricercatore

    Per quasi tre decenni, gli scienziati si sono concentrati sulla teoria secondo cui imparare a suonare uno strumento sia collegato ai risultati accademici. Esistono però molti tipi di apprendimento della musica. Il bambino che impara a orecchio ottiene gli stessi benefici del bambino che impara la notazione o del bambino che impara a improvvisare”. Queste sono le domande a cui Norgaard sta provando a dare una risposta.

    I ricercatori hanno iniziato con un pre-test. Hanno chiesto a due gruppi di ragazzi della scuola media di svolgere due compiti. Il primo serviva a verificare la flessibilità cognitiva o la capacità del cervello di cambiare attività mentre il secondo doveva analizzare il controllo inibitorio o la capacità del cervello di concentrarsi su informazioni pertinenti e di bloccare quelle irrilevanti. I giovani studenti hanno suonato, ma non tutti avevano studiato jazz. E’ stato scoperto che coloro i quali avevano preso lezioni d’improvvisazione hanno avuto performance migliori rispetto i loro coetanei.

    Tuttavia, non era ancora chiaro se i bambini con alti livelli di flessibilità cognitiva mostrassero una semplice predisposizione per il jazz, o se era stato lo studio dell’improvvisazione a produrre quell’effetto“, questo l’atroce dubbio di Norgaard.

    giovani musicisti testati durante le loro improvvisazioni

    Per chiarire questa perplessità, Martin e i suoi collaboratori hanno chiesto al direttore dell’orchestra scolastica di dividere i suoi ragazzi – 155 alunni di terza e seconda media – in due gruppi. Ogni gruppo ha approfondito la conoscenza del jazz, ma solo un gruppo si è cimentato nell’improvvisazione. Quindi a ciascun gruppo sono stati sottoposti gli stessi due test. Il risultato: con l’improvvisazione c’è stato un significativo miglioramento della flessibilità cognitiva.

    I loro punteggi hanno iniziato a somigliare a quelli dei ragazzi che avevano studiato jazz a partire dal pre-test“, questo è quanto affermato da Norgaard.

    I miglioramenti hanno iniziato a essere evidenti per gli studenti di terza media. Gli allievi di seconda invece hanno mostrato lievi miglioramenti solo nel controllo inibitorio.

    È difficile dire quale sia la causa della differenza. Forse è l’età dei bambini o forse è il numero di anni trascorsi a suonare. Prima o poi esamineremo anche se l’improvvisazione ha effetti cognitivi diversi a seconda dell’età o dell’esperienza di uno studente“.


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